martedì 26 gennaio 2010

Fanning e Stewart crescono velocemente in ‘The Runaways’, se non in modo imprevedibile


I film sulla crescita sono quelli centrali del Sundance, ma pochi si annunciano così audaci come “The Runaways” la cui prima immagine è una chiazza di sangue mestruale che colpisce il pavimento. La suddetta chiazza proviene da Cherie Currie (Dakota Fanning), un adolescente della California suburbana con una fiorente ossessione per David Bowie ed una sensualità arcigna che comincia appena ad arrivare.

La sessualità degli adolescenti è sempre stata uno spunto per il rock and roll, ma The Runaways li rende gli aggressori, preparando una mistura instabile di autorizzazione e sfruttamento. Floria Sigismondi che ha diretto video musicali per Marilyn Manson, Christina Aguilera e i White Stripes ha bene in mano la struttura del girl-power della storia. Ma nonostante quella goccia di apertura, l’evocazione del film dell’ascesa e della caduta delle The Runaways è poca cosa sulle pietre che costituiscono il film. Ha “racchiuso” Dakota nel bustino famoso di Currie, ed ha inscenato un bacio appassionato tra Currie e la Jett prima di comprimere la loro relazione romantica in un solo fotomontaggio softcore, ma il film è troppo brillante e di buon gusto per esprimere a pieno lo spirito quasi pedofiliaco delle The Runaways

Tanto quanto per i suoi personaggi, “The Runaways” è solo un rito di passaggio per le sue stelle: Fanning, tentando di muoversi contro natura oltre i suoi ruoli minorili e placidi e Kristen Stewart la cui vulcanica Joan Jett è più bollente degli adolescenti meditabondi che dovrebbe rappresentare.


La stabilità misteriosa della Fanning ha lasciato molte volte attori della sua età in timore riverenziale, e non ha problemi ad entrare nello spirito giusto. Il film ruota attorno alla relazione tra Currie e Jett, all’esclusione virtuale degli altri membri del gruppo— Taylor-Compton, e la dea della chitarra Lita Ford, generalmente sono poco più di una presenza che aggrotta le ciglia sull’orlo della cornice–ma è inclinato in favore di Currie che non è sorprendentemente determinato dalla monografia di Currie accreditata come il materiale a fonte per la scrittura di Sigismondi. L’abuso di sostanze e la dipendenza crescente al ramo della fama segnalano l’inizio della fine del gruppo. A parte una piccola citazione nessuno saprebbe che il gruppo è durato anche dopo l’uscita di Currie. Comunque la perdita del controllo non è l’unico dono della Fanning. Anche quando sta collassando nell’atrio di un albergo a Tokio o in fondo ad una cabina del telefono in California, non molla mai il suo bisogno di essere.

La Stewart, dall’altra parte si guadagna da vivere facendo l’incasinata sullo schermo. Le emozioni sembrano uscirle senza passare attraverso il filtro dell’ imbarazzo, una franchezza stupefacente che può essere confusa per una mancanza di tecnica. Come la Jett, è disponibile ed impenetrabile, una ricetta infallibile per il mondo del rock. È la più vicina a Currie, ma condivide anche uno spirito di parentela col manager Machiavellico della band, Kim Fowley (Michael Shannon), uno sboccato visionario, che riduce le canzoni del gruppo ad una semplice formula: “Fottetevi, autorità fottetevi, io voglio un orgasmo!” Il vivere sul filo di Shannon da una scossa al film. Quando lui è sullo schermo, non potrai mai prevedere cosa sta per accadere.

Nessun commento:

Posta un commento