lunedì 21 dicembre 2009

Da Nosferatu a Twilight, com'è bello essere vampiri...

In questa stagione invernale c’è un fenomeno estetico che va più dell’iPhone: è il vampirismo. Una nuova generazione di succhia-sangue è capace di rimanere in testa al box office del circo mediatico mondiale saldamente, e prova a dare una dignità letteraria agli sguardi pallidi, annoiati e assuefatti che vanno di moda in tanta parte della gioventù contemporanea, riuscendo a poppizzare efficacemente una certo gusto per l’irrazionale che grazie all’affinarsi dell’industria degli effetti speciali si è fatto spazio anche al cinema, tornando negli ultimi anni a rovesciare i rapporti di forza tra il racconto “civile” e quello “fantasy”.Il vampiro resta sempre il non-morto, qualcuno che vaga senza tempo per la terra cercando prede umane di cui cibarsi, ma nell’ultima versione diventa vegetariano per amore. Non c’è da meravigliarsi: la galleria dei vampiri è passata nei decenni dai mostri calvi con braccia lunghe, orecchie a punta e unghie delle mani acuminate alla Nosferatu di Murnau,
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fino ai gentleman dallo sguardo penetrante e luciferino alla Bela Lugosi, durante i roaring nineties arrivò poi la versione sadica di Tom Cruise con il divo hollywoodiano cotonato che si diverte a torturare le vittime

e ancora la provocante Salma Hayek in Dal Tramonto all’Alba (1996), film diretto da Robert Rodriguez e sceneggiato da Quentin Trantino, si trova a capitanare una conventicola di mostri assettati di sangue dentro un bar perso nel deserto messicano.
Adesso è invece il momento dei bellocci conturbanti di serie come True Blood
Bill and Eric, being hot
e Twilight

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e delle sexy vampire come Megan Fox, quest’ultimo sì, un prodotto da ingorgo cinematografico e già flop.Un’icona letteraria fortunatissima quindi quella del non-morto, a partire dagli ottocenteschi Christabel di Coleridge (1816), poemetto fantasy imperlato di quei tratti gotici cari alla letteratura romantica, e The Vampyre di John William Polidori (1819) che ebbe una vasto successo anche nell’Europa continentale, breve racconto dove per la prima volta il vampiro fa il suo esordio nell’alta società londinese, ambienti lussuosi ed esclusivi dove trovare vittime senz’altro più interessanti. Arriva poi il Dracula (1879) di Bram Stoker, libro capace di coagulare storie e leggende sedimentate nei tempi e che trae ispirazione da un antecedente romanzo (1872) di Joseph Sheridan Le Fanu, Carmilla, la storia di una vampira bellissima che semina morte per rimanere giovane. Entrambi, racconti allegorici sul desiderio represso dalle convenzioni della società vittoriana per una società, quella inglese di allora, che dato per scontato il suo impareggiabile livello di sviluppo economico è alle prese con il conseguente corollario dell’evidenziarsi di un violento bisogno di maggiore emancipazione su diversi livelli della struttura sociale dell’Impero. L’evoluzione della metafora vampiresca subisce un’altra accelerazione nella letteratura contemporanea con Anne Rice e i suoi libri (Intervista con il Vampiro, 1976, ma anche Il vampiro di Blackwood. Le cronache dei vampiri, in una recentissima ristampa), puri romanzi di intrattenimento in cui l’archetipo vampiresco non è più un’anima persa solitaria ma è parte di una cosmogonia dannata a sua volta suddivisa tra vampiri buoni e cattivi. I romanzi di Anne Rice costruiscono personaggi elementarmente complessi, utili a plot da fiction tv, umanizzano il non-morto praticando il primo esperimento “commerciale” sui vampiri e guadagnandogli così la piena consapevolezza del genere letterario.Il vampiro diventa tanto un genere che uno dei campioni della letteratura anni ’80, Bret Easton Ellis, alle prese con il suo lato oscuro, in Acqua dal sole, raccolta di racconti che racchiude la summa delle evoluzioni tematiche della sua intera opera, fa prendere una piega inaspettatamente esplicita alle pulsioni horror che hanno da sempre fatto solamente capolino nei suoi romanzi (fatta naturalmente eccezione per American Psycho che resta pur sempre, nella sua produzione, un libro a sé). L’universo perduto yuppie si imbatte nei vampiri, quasi che la naturale evoluzione genetica del tipo in wayfarer perso tra lexodan, erba e sesso a go go, sia quella di una mutazione compiutamente satanica. La malvagità del superficiale si fa conseguente e il mostro-yuppie diventa senza colpo ferire vampiro-mangia-uomini, in racconti stranianti scritti con la consueta lucidità da uno dei maestri della letteratura contemporanea. A voler rintracciare un minimo comun denominatore, nella vulgata vampiresca si diventa perduti e maledetti fondamentalmente per amore, il conte Vlad non accetta la morte dell’amata e pur compiendo due o tre servizi alla cristianità contrapponendosi brutalmente all’avanzata islamista (impalando nemici), abbraccia il male venendo condannato all’eterno vagabondaggio. Il refrain resta anche nell’ultimissima declinazione draculesca, ma l’amore maledetto e perduto nel tempo diventa carico di erotismo e di pulsione sessuale: il corpo – dei vampiri – assume tratti tipici della esplosiva capacità dei supereroi fumettistici, gli stilemi dark dei personaggi sono curati perché preservino un certo sex appeal.Così esce di scena dal personaggio vampiro la metafora nascosta dello scrittore, ovvero qualcuno che si nutre delle vite degli altri, del loro sangue, per elaborare esperienze e trasfigurarle attraverso la propria lente in un rapporto scambievole che non è mai una scelta, ma diventa spesso una condanna (quando è arte) per giungersi a qualcos’altro.A ben guardare quest’esplosione di vampiri che normalizza Nosferatu ha dentro molto di più del lecitissimo sfruttamento commerciale. Non è campato in aria vedervi le istanze di un uomo contemporaneo in lotta con se stesso, dibattuto da una parte dalla voglia di ritorno di un bigottismo di comodo che riempie vuoti post-ideologici per cui il vampiro è una chiara e identificabile esemplificazione del male (che ripulsa e attrae), e dall’altra la voglia di scoprire laicamente un contenuto spirituale dentro se stessi, quale armonia individualista tra se, gli altri e una natura più o meno in rivolta.I vampiri da esemplificazioni sataniche diventano modelli positivi che incarnano la sfida al raziocinismo e il tentativo di mettere alla prova le potenzialità dello stesso corpo umano, quasi che inconsapevolmente l’uomo si interroghi o valuti un possibile salto genetico, un esplosione di irrazionalità che nasce da dentro se stesso e che lo vuole di nuovo protagonista. In tanti anni i vampiri pare che di strada ne abbiano fatta davvero e una cosa è certa: la loro fortuna letteraria, quella sì, sembra sul serio eterna.

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